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Kabir

Ci fu una esplosione roboante, una intensa luce color vermiglio distubro' tutti gli schermi delle telecamere di sorveglianza, l'acquario venne scosso dall'interno come una scatola di cereali come quando colui che la brandisce vuole sincerarsi dell'abbondanza del contentuo provocando uno scuotimento dei cereali. Fu solo dopo alcune decine di minuti che il danno alla struttura vitrea venne scoperto, una crepa nel pesante vetro temperato si era formata come conseguenza dell'onda d'urto. Io ero stato recuperato dall'unita' medica molti metri olte il punto di atterraggio standard calcolato dal simulatore di esplosioni. Tutti gli abitanti dell'acquario avevano dovuto completare quel tipo di accertamento, in caso di esplosione tutti dovevano sapere il proprio punto di atterraggio stimato. Moltiplicando questa informazione per tutti i possibili tipi di esplosione, considerando tutti i luoghi possibili, e la probabilita' che una esplosione si verificasse in un giorno in cui le esplosioni erano consentite, avevo dovuto memorizzare davvero una quantita assurda di dati. Sebbene la padronanza della statistica aveva reso gli abitanti dell'acquario consapevoli, l'esplosione di quel giorno fu anomala e inaspettata. Io mi sentivo in colpa, sapevo di aver causato tutto quel disastro, sapevo che in breve tempo gli addetti alle informazioni post-esplosione sarebbero potutti risalire a me, non mi restava che fare una cosa tanto ardita quanto due volte imprudente: prepararmi per una fuga dell'acquario. Sapevo anche che c'era poco da preparare, nel senso che cosa ci si porta per sopravvivere in un mondo in cui l'aria e poco respirabile, le persone si sciolgono dopo poco tempo e tutto appare ostile?

Una volta ringraziata l'unita' medica, percorsi il corridoio che portava all'infermieria a ritroso verso I quartieri abitativi, un serpente di metallo e luci a led che appariva interminabile. Rientrato nel mio modulo abitativo mi affrettai a raccattare quanto di piu sensato e strategico le mie facolta’ mentali turbate dalla paura mi consentivano. Presi due flaconi di olio di piombo e una grossa giara di latte di alluminio, mettendo tutto dentro lo zaino integrato al sigillone. C’era ancora posto, raccolsi dal guardaroba l’abito cerimoniale di piume di condor, la pistola Condor e la biografia di Kabir Bedi in formato tascabile. C’era ancora posto nello zaino, infilai la scatoletta blu di Trismegistotele che non avevo ancora aperto e per finire il disco ottico “I racconti di Giulio Verme narrati sott’acqua”, con tanto di dizionario “Bolle – Italiano, Italiano – Bolle”.

Corsi verso il percorso che percorrevo tutti I giorni per andare ad eseguire la mia mansione di temperatore di vetri, forse consapevole che sarebbe stata l’ultima volta.