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Sigillone

Avevamo tre tute in sigillone fino a qualche giorno fa. Poi Chicopì me l’ha raccontata così.

Ero in turno con Foonk per il temperaggio dei vetri, l’oblò numero otto non lasciava filtrare quasi più luce. La sola regola la sai, guardarsi in faccia, sempre, ce lo ripetono ancora alle esercitazioni dopo tutti questi anni. Perché c’è un solo modo per non sbagliare e cioè ripetere, ripetere per non dimenticare e se non dimentichi non sbagli. E Foonk guardava giù, stramaledizione, su quella terra incolore che crocca sotto la tuta, ogni metro quadro interessante quanto il successivo. "Guardami", gli chiedo, ma lui sembra non sentire, ipotizzo un guasto dell’interaudio ma lo sento respirare. Sento quel vento di sabbia che va e viene dalla bocca che non vedo. No, non è un guasto. Vorrei fargli un cenno, dargli un colpo sulla spalla, ma dovremmo posare il temperino da vetro. Impossibile. ‘Basculare, compensare, flettere’, il mantra meccanico dell’esercitazione. Inutile che te lo dica, lo conosci bene quanto me. Foonk sembra stordito, gli urlo “mi guardi o no, cazzo!”, e lui concentrato nel ricevere ispirazione dalla polvere comincia a raccontarmi cose senza senso.

"Questa notte ho fatto un sogno,

parte Foonk senza sbattere mai più le palpebre.

Hai presente quel muretto che si intravede dall’oblò sei? Ecco, quel rudere era ancora in piedi, una casa completamente verde, un verde invasivo di qualcosa di vivo che è esploso, e io non so proprio come me la sono immaginata una scena del genere. E davanti all’ingresso c’era il corpo di un cane, una bestia massiccia e maculata. Io non l’avevo neanche mai visto un cane seduto… Questo rimane lì immobile, esponendo dei denti robusti in un vago sorriso sinistro ma anaffettivo".

Un cane, gli dico, … anaffettivo… ma cosa cazzo stai blaterando, e cosa vuol dire anaffettivo? Foonk prosegue, immobile come quell’inspiegabile animale vivo, come se quel che avevo detto non fosse arrivato a destinazione.

'Non ti preoccupare', mi dice senza preavviso il cane, articola la bocca e dice proprio così, 'non ti preoccupare'. Per un paio di secondi di quel tempo là ho paura, paura della sua voce imparziale e distesa, paura di chiedergli senza la dovuta naturalezza del caso: “non preoccuparti… di cosa?”. E parte una vibrazione ad alta frequenza, lievita nei timpani, poi rallenta fino a diventare fastidiosa, tremo senza poterlo evitare, tremo solidale al pavimento, a ogni granello di sabbia. Il muro si sgretola, il tetto si polverizza senza alcun rumore, senza onde d’urto. Il pulviscolo è verde, fittissimo, poi nero, ubiquo, sulle braccia, fra i capelli, si infila simmetrico nelle narici. Respirerò la notte e non avrò paura d’esser solo.

Foonk dice proprio così, sì. Con gli occhi bassi e spalancati come glieli avessero sparati in faccia da distanza ravvicinata con un fucile a convulsione. Io lo lascio finire perché era anche convincente, poi sto per urlargli di darsi una regolata e per chiedergli se ha ancora passato la notte con Alkasta quando Foonk infine solleva il collo e aggancia i suoi occhi ai miei, e allora penso ooohhhh, finalmente cazzo, finalmente si è ricordato, ci siamo, che paura m’hai fatto prendere. Finalmente possiamo finire il temperaggio, cioè cominciarlo. Gli dico ‘dai!’ e comincio ad oscillare in modo che Foonk si sincronizzi così possiamo applicare con cautela lo smeriglione al vetro e azionare il sopravvuoto. Lo sai benissimo come funziona. Ma Foonk che non smette più di guardarmi fa un respiro profondissimo, assorbe attraverso il naso tutta l’aria pura che la riserva dell’erogatore gli consente, si gonfia e si solleva. E per erigere la schiena in tutta l’estensione molla la presa dal temperino e squadra le spalle sopra i polmoni saturi d’ossigeno, azoto e poco altro. Io mi aspettavo di tutto ma non questo, non che mollasse, e allora devo lasciarlo cadere anche io, lo sai quanto cazzo pesa, no? Lo sto ancora guardando quando lo smeriglione si torce verso la gamba sinistra di Foonk, aderisce alla tuta e succede tutto in un istante. Gli occhi si sono riempiti di notte, Foonk non ha più espirato e si sé sciolto. E’ caduto a terra, il classico rumore soffocato del sigillone che impatta il suolo.

Chicopì si è fermato, forse perché i fatti da raccontare si erano esauriti. Gli occhi sgranati e vibranti, come glieli avessero sparati in faccia da distanza ravvicinata con un fucile a contrazione, dicevano che non era ancora tempo per continuare.

“Quindi adesso ne abbiamo soltanto due?”, gli ho chiesto.

“S-si”, ha incespicato Chicopì.