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Mercanti (pt.2)

Con un gesto aperto del braccio che lasciò per un attimo le redini ci invitò a superarlo e proseguire verso l’accampamento. Passavamo faticosamente fra le tende ancorate alle corde tesissime attirati dalle meraviglie sconosciute dei mercanti. Ci fermammo a salutare Trogolieu, il cuoco che sapeva trasformare l’odio in ramen. Mio padre mi aveva insegnato anni prima nelle nostre visite al mercato a soffermarmi a lungo sugli avventori.

“Giudica l’animo umano senza pregiudizi, poi confronta la tua idea con l’abbondanza delle loro ciotole, e scopri quanto ci sei andato vicino”.

Un viandante consegnava due spade al contrarrotino perché le spuntasse rendendole inoffensive, un altro era seduto sullo sgabello di Samovar, che scolpiva nella mente idee false, un toccasana per curare anche solo per un momento chi aveva varcato la soglia dell’insopportabile. Vidi da lontano Chicopì che analizzava le cianfrusaglie esposte sul banco di Tremegistotele, il trafficante di gengive. Lo raggiunsi passando esternamente alle tende, costeggiando il recinto dei maestosi tacchini gloglottidi, che rimanevano immoti e con gli occhi serrati per difendersi dai prioiettili di sabbia. Probabilmente dietro i loro impenetrabili sbuffi dalle narici nodose nascondevano la speranza di essere soltanto sellati e di non finire sulle griglie arroventate dei mitologici banchetti delle carovane. Chicopì intano soppesava un’arcata superiore di idraulico delle paludi, merce attraente per certi sciamani ma di dubbio interesse per un manutentore di vetri temperati. E un’apprendista che non conoscevo restava schiva vicino all’ingresso della sua cabina con il pannello dei bottoni rossi aperto verso l’esterno. Con un cenno del capo provai a chiamarla, lei si toccò il lato del casco col dito indice avvolto dal guanto in sigillone. Attivai allora l’interaudio cercando la sua frequenza.

“Quanto vuoi per questo tubo adultero del vapore?”, chiesi.

Lo avrei regalato ad Alkasta, se lo avessi trovato. Cercava quel ricambio da parecchio, viandante desolato nei sotterranei dell'acquario. Rimase un attimo senza muoversi, ma era ferma anche prima, quindi valutai solo il prolungarsi dell’immobilità.

“E’ un tubo adduttore, va insieme a quella precamera di raffreddamento, non separo il lotto”, mi rispose, facendo notare di sapere il fatto suo.

Concordammo un prezzo. Mi disse di aspettarla un attimo e rientrò nel mercantile. Chicopì ormai era immerso in un viaggio mentale silenzioso fra premolari di truppe caucasiche e dentiere in giada pelosa, ma trovò qualcosa che si affrettò a infilare nella tasca del sigillone. Cambiare la frequenza dell’interaudio per insultarlo avrebbe richiesto troppo tempo e dargli uno scrollone era pericoloso sotto troppi punti di vista, per cui non dissi niente, e la ragazza stava già uscendo dal mezzo. Sudavo a profusione quando protese la mano:

“E’ un adattatore universale per la serpentina. Non so a cosa lo devi collegare, ma è bene avere a disposizione tutte le possibilità”.

“Non lo so neppure io, ma concordo sulla tua linea teorica. Adesso ce ne andiamo, grazie”.

“Torno a resettare quell’energione, perde ciclicamente un colpo. Addio”, concluse.

Tirai via Chicopì per un braccio formulando l'idea di tornare immediatamente all’acquario.