Calabronzo
Chicopì mima qualcosa, muove un braccio, forse apre e chiude la bocca. Vedo per un attimo il quadrante del rilevatore che segnala intermittente 5 – 28 – error 06 prima di perdere i sensi chissà dove.
Non so quale parte del corpo ascolti i vibrorumori, ma la mia pancia, all’improvviso, fremeva. L’attenzione si traferì subito sulla sensazione di trovarmi all’interno di un nido di calabronzi speziati frustato da una mazza da baseball. Non esiste una quantità di tempo calcolabile fra quando il primo granello di sabbia si infranse contro la tuta e quando un triliardo di altri replicarono la stessa fastidiosa proiezione. So che il fondo del deserto già tremava sotto di noi come il sintomo di una febbre tropicale planetaria nel momento esatto in cui Chicopì che cercava il mio sguardo lo trovò alla ricerca del suo. La sincronia fulminea di chi tempera il vetro in coppia, bascula, applica lo smeriglione e aziona il sopravvuoto, un singolo battito d’ala di calabronzo nell’infinita sequenza di battiti di quel giorno.
Chicopì è in ginocchio, si muove nervoso e scomposto come Mor Deglia nella tempesta. Non saprei dire se sono in piedi, supino, prono, sveglio. Il quadrante del rilevatore illumina in rosso error 06. Quindi riprende da 5, 28…
Poi arriva. Chicopì allunga la sua mano verso di me, ma invece di avvicinarsi si allontana progressivamente. Il rumore gonfia, un gavettone attaccato al rubinetto della confusione aperto a smanubrio. Tutta la vibrazione contenibile in un udito umano è lì. Chicopì parte, è già lontano. Poi la terra si stacca anche dai miei stivali mentre guardo in basso. L’intorno perde definizione, Chicopì rimpiccolisce in una direzione. Mi accorgo con ritardo che il tremore è distante ma non saprei dove, finchè tutto è fermo per un istante. Gli occhi spalancati, il dubbio senza il tempo di immaginare l’ovvio, l’aria fa il tutto usaurito nei polmoni. Il cristallino, sensazionale scatto della vita dello zoofotografo che estrae dal mazzo del movimento lo spazio bidimensionale fra due battiti d’ala di calabronzo speziato.
Chicopì mi scuote, non ho concentrazione per leggere le sue labbra. C’è qualcosa di strano, un’asimettria ombrosa. Ma non riesco a tenere gli occhi aperti nella sbornia sibilante all’interno del sigillone.