Iguana
Spense il condizionatore e finalmente quello che credeva il silenzio lo diventò sul serio. Schiaffeggiato da una vertigine si appoggiò al muro del salotto e sentì l’attrito risalirgli la schiena alla stessa velocità con cui il suo corpo veniva attratto irresistibilmente dal pavimento. Dall’angolo in cui si trovava lo sguardo fu calamitato verso quel vuoto a forma di cane, appena sotto la finestra. Che poi non era neanche un cane, ma il punto era un altro. Dalla stessa prospettiva di Bosforo, la devastazione disordinata della stanza sembrò ancora più inquietante. Il contenuto di ogni cassetto rovesciato a terra, il tavolino basso in stile Porfirio secondo gambe all’aria come un quadrupede impagliato capovolto, la modesta collezione di dischi in vinile di un suo trisavolo tramandata di padre in figlio diventato a sua volta padre sparsa con l’agghiacciante criterio della rovina. Si immaginò per un attimo la furia e la combinazione irriproducibile di movimenti, spinte, calci e lacerazioni, ma non riuscì a distogliere gli occhi da quella cuccia vuota, appena sotto la finestra. Che poi non era neanche una cuccia, ma il punto era sempre un altro. Cosa mai poteva aver visto e memorizzato Bosforo da giustificare tutto quello sconquasso? Perché non c’era altra spiegazione.
Si alzò aiutandosi con la controspinta del muro e riguadagnata la posizione eretta fu attratto da due cose, il collare senza laccio di Bosforo (non aveva mai accettato di considerarlo un bieco telecomando) e la radiazione azzurra del globo luminoso sulla copertina di ‘Total eclipse of the heart’, una vecchia canzone di una certa Bonnie Tyler che nessun dispositivo avrebbe mai più saputo riprodurre. Spense la luce, e il vuoto sotto la finestra assunse la sua forma più pura, quella inconoscibile ad ogni senso umano. Dall’ampia vetrata guizzavano solo i bagliori malsani della distesa selvatica dell’acquitrino e là dove la vista comincia a smarrirsi e a concedere spazio all’interpretazione vide senza sorprendersi il riflesso della cancellata del suo vicino più prossimo. Cominciò ad essere vagamente insopportabile rimanere, anche perché il condizionatore era spento da un bel po’. Si infilò gli stivali impermeabili di iguana e imbracciò il fucile accessoriato di visore notturno. Scostò il pesante pannello del filtro anti-insetti e appena posato il piede destro nella fanghiglia fu assalito da una nube di zanzare giganti che festeggiavano l’ultima notte di ottobre schiantandosi a turno contro la lampada che illuminava l’ingresso. “Fottuta palude…”, pensò ad alta voce posando il sinistro oltre il destro, scatenando il regolare inseguimento dei suoi piedi diretto verso l’unica destinazione su cui istinto e ragione, per una volta, concordavano senza troppe storie.
2014-11-03 - #bosforo