Onice
Raggiunse in brevissimo tempo la cancellata in onice del vicino nonostante orde disordinate di zanzare olifante aggredissero la sua faccia come la folla inferocita al negozio di attrezzi da acquitrino il giorno degli sconti. Anomino, probabilmente si chiamava così. Lo aveva incrociato per caso l’anno prima durante il trasloco. Era stato di poche parole, anzi di nessuna parola, non aveva detto niente. Incontrò il suo sguardo mentre scaricava dal furgone dell’impresa un enorme ciclodistanziere a promiscuità separata. Tre golem di prugne afferravano le altre tre estremità del congegno mentre cercava di estrarlo dal camioncino sulla cui fiancata si stagliavano le lettere M e C stampate in font governativo a dimensione ventimilasettecentotrentasei. Gli parvero strane quelle lettere, le aveva già viste da qualche parte anche se non ricordava dove. Gli parve curioso anche quell’apparecchio, chissà cosa se ne faceva un agricoltore in una cascina che si affacciava sulla più estesa piantagione di alghe da riso filato della palude. Gli parvero bizzarri anche tutti quegli animali impagliati distribuiti nel giardino in attesa di collocazione: un raro ibis biscottato della Guinea, due superbi elefanghi goliardi, un castorto fiammingo e altri rarissimi esemplari di faune lontane e quasi sconosciute. Ma la voce di una donna lo richiamo dall’interno della casa: “Anomino! Corri, il golem insiste per riposarsi in frigo… ho appena finito di pulirlo!”. E Bosforo, a cui stava facendo il rodaggio alle nuove sottozampe in mescola intermedia adatte a tutte le superfici, aveva segnalato un’anomalia magnetica ed era meglio rientrare. Già, Bosforo, chissà che fine aveva fatto, era meglio far presto. Avvicinandosi all’entrata arracando tra le pozze e le fronde melmose delle betulle vide il vicino sbucare dal retro. Non era il classico appuntamento romantico: solide sbarre di sette metri separavano un uomo in capello di quinoa che imbracciava un attrezzo da acquitrino da un altro uomo in stivali impermeabili di iguana con un fucile da caccia all’alligatorchio che spuntava oltre le spalle. Il ronzio di legioni di zanzare olifante, il ribollire della fanghiglia, i canti impercettibili delle mondine nelle risaie sconfinate, il ticchettio spettrale della meridiana a bruma meccanica, la flessione dei giunchi sotto il peso delle rane obese, tutto questo impediva il silenzio. Agganciarono uno sguardo compreso tra due sbarre d’onice, uno sguardo di cui entrambi avrebbero fatto a meno. Nessuno dei due sapeva da dove cominciare, non c’era modo di rompere il ghiaccio, dato che a quella temperatura era comunque impossibile ottenerlo. L’unica cosa a rompersi fu la tranquillità della palude infranta dall’eco sferico di uno sparo non troppo lontano, fulmineo, disturbante e non annunciato come la visita di un vicino sgradito. Gli sguardi partirono paralleli diretti all’invisibile sorgente di quel suono mentre stormi sparpagliati di poiane flatule fuggivano nella direzione opposta.
2016-02-16 - #Bosforo